Il territorio del Parco è caratterizzato da emergenze di elevata rilevanza geologica naturalmente connesse anche, ma non solo, con le secolari attività estrattive che hanno creato un paesaggio minerario dove interventi della natura e interventi dell’uomo un vero laboratorio a cielo aperto (Colline Metallifere 1995).
La storia dell’attività mineraria e della lavorazione dei metalli si fonde, dall’antichità ai nostri giorni, con la storia delle Colline Metallifere.
Resti di antichi pozzi minerari e di aree di scorie metallurgiche si trovano ovunque nella zona, testimoni di un’attività in certi periodi quasi esclusiva.
Le prime testimonianze relative all’attività mineraria si riferiscono al periodo etrusco (VII-VI secolo a.C.) con i resti del villaggio situato nei pressi del Lago dell’Accesa (Massa Marittima), anche se con molta probabilità i lavori erano presenti già in età molto più antiche. Un’importantissima area di estrazione della selce, riferibile all’età eneolitica, è presente presso il geosito La Pietra (Roccastrada).
Le aree di Serrabottini e di Niccioleta (Massa Marittima) sono costellate di antichi pozzi dei quali possediamo impressionanti descrizioni di geologi del XIX secolo (LOTTI 1893), alcuni con sezione ellittica, altri con sezione circolare e con un’armatura in pietra. Durante il periodo medievale Massa Marittima (allora Massa Metallorum) assunse un’enorme importanza nel campo minerario con l’estrazione e la lavorazione di rame, piombo e argento. Costituitasi in Repubblica, o Libero Comune, promulgò verso la fine del Duecento, il famoso Codice Minerario Ordinamenta super artem fossarum rameriae et argentarie, una pietra miliare per lo studio del diritto minerario europeo, al contenuto normativo della legge mineraria fecero riferimento anche gli Statuti di Siena ed il Breve di Montieri.
Grazie all’argento ricavato dalle miniere di Montieri, le città di Volterra e di Siena, con alterne vicende, incrementarono le proprie ricchezze fino al XIV secolo. Successivamente le attività minerarie in questi territori caddero nel più completo abbandono.
Nella seconda metà del XVI secolo Cosimo I dei Medici riattivò numerosi impianti di estrazione e lavorazione dei metalli. Dopo questa importante esperienza imprenditoriale è necessario aspettare il XIX secolo per vedere di nuovo la ripresa dei lavori minerari. Società belghe, francesi, inglesi, tedesche rimisero in attività i vecchi centri di produzione. Vennero incrementate le ricerche ed iniziò la fase delle grandi produzioni.
Alla fine del secolo, nel 1899, fece la sua comparsa in Maremma la Società Montecatini, nata nel 1888 a Montecatini Val di Cecina per lo sfruttamento di un giacimento di rame. In Maremma la Montecatini si interessò all’acquisto delle miniere di rame di Fenice Capanne e di Boccheggiano.
Ma la vera fortuna di questa impresa mineraria non fu determinata dalla ricchezza dei giacimenti cupriferi, ma bensì da quelli di pirite. Guido Donegani, giovane ingegnere livornese che nel 1910 fu nominato amministratore delegato della società, intuì che la ricchezza della Maremma erano i consistenti giacimenti di pirite dai quali era possibile produrre acido solforico, una delle materie prime fondamentali dell’industria chimica.
Infatti in questo periodo l’Italia era, per l’industria chimica, totalmente dipendente dalla Germania e lo sfruttamento di queste risorse apriva la concreta possibilità di dotare il Paese di un’industria totalmente autonoma. Nel 1910 acquistò una quota consistente della Unione Italiana Piriti proprietaria della più antica miniera di pirite della Maremma: quella di Gavorrano.
Con la messa in esercizio, nel 1930, della Miniera di Niccioleta la Montecatini si era assicurata il monopolio delle piriti italiane: il 90% della produzione di questo minerale proveniva dalle miniere maremmane, di cui era l’esclusiva proprietaria.
Proprio a partire dagli anni ’30 il paesaggio delle Colline Metallifere subì un repentino e continuo cambiamento: nacquero interi villaggi minerari, impianti industriali con strutture sempre più ardite e sempre più invasive. Il comprensorio vide impiegate diverse migliaia di addetti e per il trasporto del materiale fu realizzata una vera e propria rete di teleferiche lungo più di 40 km (il sistema di teleferiche più lungo d’Europa) che dalle varie unità produttive faceva affluire il minerale alle stazioni ferroviarie di Scarlino e di Gavorrano per le spedizioni via terra e all’imbarco di Portiglioni, presso Scarlino, per quelle marittime.
Le miniere di lignite erano state sfruttate con intensità in particolar modo durante i due periodi bellici, ma, non appena i mercati furono riaperti, il carbone di Maremma non riuscì a reggere la concorrenza di quelli esteri e soprattutto del petrolio.
La sciagura di Ribolla, uno scoppio della miniera di lignite, che uccise nel 1954, 43 persone, accelerò i tempi della crisi.
Nella prima metà degli anni ’60 la Montecatini realizzò lo stabilimento di Scarlino, dove furono trattate le piriti grezze per produrre acido solforico, pellets di magnetite e energia elettrica.
La Miniera di pirite di Gavorrano cessò la produzione nel 1982, quella di solfuri misti (rame, piombo e zinco) di Fenice Capanne nel 1985, quella di pirite di Niccioleta (Massa Marittima) nel 1992, quella di pirite di Campiano presso Boccheggiano (Montieri) nel 1994.
La produzione globale di pirite, nel periodo che va dalla fine del secolo scorso al 1994, ha superato i settanta milioni di tonnellate; per i solfuri misti si può stimare una produzione intorno ai quattro milioni di tonnellate.